Compiacere non è un piacere.

Qualche post fa avevamo visto come il falso mito che “le cose che devi chiedere hanno meno valore di quelle fatte spontaneamente” può condizionare (in peggio) le nostre relazioni. Anzi è la spia che è in atto un pericoloso rapporto simbiotico.

Un altro mito che resiste all’usura del tempo è: “gli altri possono farmi star male (o bene) attraverso quello che mi dicono”.
In realtà è impossibile che questo accada perché ognuno è responsabile delle proprie azioni ed emozioni.
Certo posso reagire a quello che mi dicono sentendomi arrabbiato, o triste, o spaventato ma non sei tu che mi stai facendo sentire così. Se voglio posso sentirmi divertito, vuoto, spaventato, eccitato o una qualsiasi di centinaia di emozioni.
Gli altri possono solo mandarmi un invito, rispondere o no a quell’invito dipende solo ed esclusivamente da me.

Credere che gli altri possano farci star male ci fa sentire impotenti.
Credere che possano farci sentire bene ci fa diventare compiacenti.
La compiacenza (che non è né ubbidienza né rispetto) è una dipendenza e un ricatto.
Una dipendenza in quanto lo stare bene è legato alla reazione dell’altro, un ricatto perché il pensiero sottostante è che se io mi comporto così allora tu…
Dal punto di vista analitico transazionale compiacere è una delle cinque modalità controcopionali (le altre 4 sono Sii Perfetto, Sii Forte, Sbrigati e Sforzati) e significa che stiamo agendo dal nostro Bambino (chiedendo approvazione al Genitore) dunque il rapporto che instauriamo non è paritario tra adulti, ma di tipo genitoriale.


Legare la propria felicità alle reazioni degli altri fa si che si sottovaluti se stessi sopravvalutando gli altri (soprattutto coloro che vengono ritenuti importanti per il proprio riconoscimento, per il proprio benessere quindi è un discorso molto importante nel rapporto tra genitori e figli) e questo porta alla perdita di significato delle proprie azioni ponendo le premesse per una graduale perdita di autonomia e per una riduzione della capacità espressiva.
Il comportamento non ha una finalità propria: è sempre finalizzato ad ottenere una risposta dall’altro, con tutti i rischi e la fatica che questo comporta.

INIZIARE A RICONOSCERE LA COMPIACENZA
Molto probabilmente stiamo compiacendo quando:

  • siamo incapaci, o abbiamo molte difficoltà, a dire no alle richieste degli altri
  • siamo incapaci di trovare spazio e tempo per se stessi
  • viviamo nella costante preoccupazione per il possibile giudizio negativo degli altri

COSA FARE?
Se notate che sono i vostri figli ad essere compiacenti si può iniziare a chiedere il loro punto di vista, a chiedere che decisioni prenderebbero loro, approfondendo il significato di tali pensieri e decisioni.
Fare questo consente di attenuare la centratura sugli altri aiutando a riportare su di sè il baricentro della propria vita.
Se a compiacere siamo noi stessi possiamo iniziare ad argomentare le nostre affermazioni e ad imparare a diventare assertivi con argomenti logici.

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